Non avevo sentito o letto di Luminosa di Gilda Manso, scrittrice argentina tradotta e pubblicata da Wojtek edizioni (traduzione di Antonella Di Nobile) prima di imbattermi nel libro (copertina bellissima) in una libreria indipendente di Napoli. Sto dicendo, in pratica, che l’incontro con questo testo è stato casuale, non facilitato da nessuna recensione o segnalazione. L’ho visto, mi ha attirata, l’ho scelto e l’ho amato. Mi sono tuffata in Luminosa, che è espressione di una narrativa breve, di confine, incatalogabile, tra il racconto lungo e il romanzo breve, senza essere nessuna delle due cose, fino in fondo. La trama procede per sottrazione: è costruita su non detti, su mancanze, su silenzi, su omissioni. La lingua della Manso passa attraverso una cesoia: le parole spuntano concise, austere, lapidarie e sorreggono una vicenda che è soprattutto la tratteggiatura psicologica di una donna determinata, non arrendevole. Fausta, così si chiama la protagonista, non è la voce narrante: ciò consente alla scrittrice di muoversi con maggiore libertà sulla scena e di zoomare sul personaggio che le interessa approfondire. Tutto però passa attraverso lo sguardo di Fausta: c’è una sequenza di eventi, che il lettore apprende a ritroso, che inducono la donna ad accogliere in casa sua una neonata che qualcuno ha abbandonato davanti alla porta della sua abitazione. Questo fatto aziona una serie di flashback (la relazione di Fausta e Cristobal, l’infanzia di Fausta, la storia della sua famiglia, l’amicizia con Vicky) che movimentano la lettura: conosciamo i personaggi attraverso le esperienze che li hanno portati fino al punto in cui ci entriamo in contatto.
Si comprende presto che l’atto di Fausta di accogliere la neonata è un gesto di amore smisurato, inconscio, folle se vogliamo, quasi sconsiderato, ma destinato a rivoluzionare i giorni della protagonista. Fausta è d’ispirazione: è libera, moderna, a volte aggressiva, le sue ferite sono ben in vista ma pure la sua risolutezza. Ancora una volta, come accade ne La figlia unica di Guadalupe Nettel (ne scrivevamo qui), la maternità non coincide con la gestazione ma con la capacità di una donna di provare amore, di mettere in circolo un’energia curante, a prescindere dal parto.
“Cristobal era stato il primo ad arrivare, venti minuti dopo la telefonata di Fausta; in quei venti minuti aveva avuto il tempo di alzarsi dal letto, vestirsi, lavarsi i denti e guidare fino a casa sua. Non era normale che lei lo chiamasse di sabato alle sei di mattina. Per maggiore fedeltà con la realtà va detto, in generale, che non era affatto normale che lei lo chiamasse”.
Luminosa induce a tantissime riflessioni, non solo di natura esistenziale, privata, ma anche collettiva. Il testo è ricco di considerazioni sul ruolo della donna all’interno della famiglia, sull’aborto. Nel terzo capitolo c’è un dialogo tra Fausta bambina, la madre e la zia, in cui la scrittrice affida alla protagonista, non ancora adulta, una serie di domande sulle responsabilità dell’uomo e della donna nel crescere i figli. La madre e la zia di Fausta sostengono l’assoluta responsabilità femminile nei processi educativi e famigliari. In contrasto con questa concezione della famiglia, la scrittrice marca l’imbarazzo della bambina, che per la prima volta si scontra con un modo di raccontare le donne che non la convince. Con passaggi precisi, studiati, Gilda Manso fissa una rottura con gli stereotipi di genere e si ritaglia uno spazio politico. Fa lo stesso sul finale, quando Fausta chiede alla madre naturale della neonata abbandonata come mai non abbia interrotto la gravidanza o non abbia preso precauzioni per evitare di restare incinta.
Solo di recente l’Argentina ha legiferato sull’interruzione volontaria della gravidanza, sebbene sia uno dei paesi che nel tempo ha fatto registrare un gran numero di vittime di aborti clandestini. Alla luce di questo dato, la posizione della scrittrice è lapalissiana e certi passaggi del libro sono un’invettiva verso modelli sociali vetusti e da superare. Gilda Manso è una voce pura, la sua scrittura è tagliente, riesce a sostenere una storia che è fatta di scene tra un presente e un passato narrativo. Alla scrittrice interessa seguire la sua protagonista, offrire al lettore il suo punto di vista, far vedere che l’autodeterminazione esiste, ha un prezzo e che soprattutto non è possibile e non è corretto codificare un unico modo di essere donna.